Gen Z

Nati online. Cresciuti a colpi di scroll, swipe e cuoricini. Per la generazione Z, ovvero per i nati tra la fine degli anni ‘90 e il 2010, il digitale non è una banalissima estensione della realtà: è la realtà. E proprio per questo, i più giovani sono diventati la preda ideale per chi si muove nella faccia oscura della rete.

Il 2025 ha confermato un trend inquietante. Secondo i dati più recenti dell’ACN (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale), gli eventi cyber in Italia sono aumentati del 53% solo nei primi sei mesi dell’anno. E non si tratta di attacchi alle banche o agli uffici pubblici (che pure non mancano): il mirino, sempre più spesso, è puntato sui giovani. Sui loro telefoni, sui loro account social, sui loro portafogli digitali. E, purtroppo, sulle loro disattenzioni e leggerezze.

Sotto attacco, senza accorgersene

Parliamoci chiaro: la Gen Z ha un problema. È smart, sì, ma non si comporta mettendo al centro la sicurezza. Perché essere nativi digitali non vuol dire essere esperti di cyber security. Anzi. L’abitudine a condividere tutto, ogni pensiero, ogni foto, ogni spostamento, li rende più vulnerabili di quanto possano immaginare.

Fra tutti, ci ha colpiti un dato: tra aprile 2024 e marzo 2025, sono stati registrati oltre 19 milioni di tentativi di attacco veicolati attraverso videogiochi online. Di questi, 11,2 milioni solo tramite GTA, Minecraft e Call of Duty. Non parliamo di virus con teschi lampeggianti, ma di malware silenziosi che si nascondono in mod fake, aggiornamenti malevoli e anche chat Discord farcite di link velenosi.

E poi ci sono i messaggi di phishing su Instagram e TikTok. Ti scrivono, ti lusingano, ti promettono regali da sogno (una rivisitazione più moderna del sempreverde “Hai vinto un iPhone!”) e un attimo dopo ti ritrovi ad aver regalato i tuoi dati – senza nemmeno saperlo. Spesso, la trappola è in un’app. Sembra un gioco, un plugin, una scorciatoia per scaricare musica. Ma dietro c’è un’interfaccia che ti succhia le credenziali e le rivende. Dove? Semplice: nel dark web.

Il dark web ama la Gen Z

Lì sotto, nel sottosuolo digitale, ogni informazione ha un prezzo. Un profilo TikTok con 100k follower? Può valere più di una carta di credito. Un database di mail scolastiche? Un’arma perfetta per il phishing. E i dati della Gen Z sono i più richiesti, perché sono abbondanti, disorganizzati e spesso accessibili con una sola password banale (“ciao123” è ancora tra le più usate in Italia).

Secondo il Rapporto Clusit 2025, l’Italia ha subito il 10% degli attacchi informatici globali, pur rappresentando solo l’1,8% del PIL mondiale. Il settore media e comunicazione (dove la Gen Z è iperattiva) è il più colpito: 18% degli attacchi totali. Non è un caso.

Una VPN per la sicurezza dei più giovani

Nessuna tecnologia può salvare da ogni tipo di attacco informatico, ma alcuni tool possono tornare utili in tanti scenari. Ad esempio? Una VPN. Specialmente quando ti colleghi dal bar, dal treno, dal Wi-Fi dell’università, ambienti in cui la rete è gratuita, aperta a tutti, instabile e perfetta per un attacco man-in-the-middle. Una buona VPN cripta il traffico, maschera la tua posizione, e rende molto più difficile per chiunque (hacker o software) intercettare quello che fai.

Pensaci: proteggi la fotocamera del telefono con una cover da 40 euro, ma non fai nulla per i tuoi dati quando navighi da una rete Wi-Fi gratis?

In sintesi? Gli hacker parlano il linguaggio della generazione Z

Ecco perché la colpiscono. Perché li conoscono. Usano TikTok, Discord, WhatsApp, come zona di caccia dove lasciare le loro esche. Perché dietro al meme virale, può nascondersi un ransomware. Dietro la notifica push, un keylogger. Dietro l’illusione della libertà digitale, una rete che pullula di trappole.

La Gen Z deve imparare a fare una cosa che non ha mai voluto fare: fidarsi di meno. Di chi scrive, di cosa scarica, di chi offre troppo gratis. E deve iniziare a vedere la propria identità digitale come ciò che è davvero: un patrimonio da proteggere.


Foto di Gerd Altmann da Pixabay.