Il romanzo simbolo dell’opera pirandelliana, in cui si palesa il conflitto dell’uomo con se stesso e gli altri
L’uomo, l’essere più complesso e straordinario del creato, in conflitto con se stesso e con gli altri.
Sempre si è scritto e sempre si parlerà, sotto molteplici forme, di un tema importante e articolato, come quello del rapporto dell’Io con se stesso e con gli altri. Se dovessi, tuttavia, individuare l’autore simbolo di un tema così accattivante, la mia mente viaggerebbe subito verso le pagine di Luigi Pirandello e del suo romanzo Uno, nessuno e centomila.
Pirandello, in quella che rappresenta l’opera madre della sua formidabile carriera, riesce a tessere, con straordinaria maestria, le complesse dinamiche dei rapporti tra gli esseri umani e le loro personalità. Un tema più che mai attuale, in un mondo che corre freneticamente in direzioni non sempre ben identificate e che ci fa sorgere numerosi interrogativi, primo fra tutti: “Noi, uomini moderni, siamo maschere nude?”.
La trama e i personaggi
Uno, nessuno e centomila rappresenta uno dei romanzi più complessi ed enigmatici dell’opera pirandelliana, in cui non manca affatto l’umorismo tipico dell’autore, un libro che stimola molteplici riflessioni. Dalle pagine di questo splendido romanzo emerge, infatti, come la visione che ciascuno di noi ha di se stesso e la conseguente impressione che la gente ha di noi non sono immutabili, ma soggette ad una evoluzione costante e inesorabile. Un concetto che viene espresso a chiare lettere già dal titolo, particolarmente emblematico in tal senso: uno è l’immagine che ogni individuo ha di sé, nessuno rappresenta tutto quello che il protagonista sceglie di essere alla fine del racconto e centomila ritrae, chiaramente, l’immagine che gli altri hanno di noi.
Il protagonista e narratore, Vitangelo Moscarda, si convince, infatti, improvvisamente che l’uomo non è “uno”, ma “centomila”. L’essere umano possiede, quindi, tante diverse personalità quante gli altri gliene attribuiscono. Riuscire a scoprire ciò significa, potenzialmente, diventare “nessuno”, almeno per se stessi. Così, ciò che resta è soltanto il poter osservare le multiformi e differenti personalità attraverso le quali lui appare agli altri. Emblematiche in tal senso le parole del protagonista:
“Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano”.
È evidente come di fondamentale importanza nell’economia del romanzo sia anche l’impossibilità di interpretare in modo univoco non solo la realtà che ci circonda, ma anche la nostra identità, il nostro io più autentico. Ma quale elemento scatena la crisi del nostro protagonista, portandolo a sconvolgere la propria vita?
La frantumazione dell’Io per colpa di… un naso storto!
Il fattore determinante che innesca la frantumazione dell’Io è un episodio apparentemente banale: la moglie fa notare a Vitangelo che il proprio naso pende leggermente verso destra, aspetto di cui lui mai si era accorto. In questo scorcio di vita quotidiana, all’apparenza insignificante, ritroviamo anche molti dei topos che caratterizzano la narrativa pirandelliana: pensiamo allo specchio, oggetto davanti al quale si trova il protagonista e che assume un rilievo notevole. Uno specchio che è duplice: oltre all’oggetto materiale, infatti, abbiamo gli occhi della moglie Dida, uno sguardo che tramuta Vitangelo in una delle tante identità che lui più disprezza, quello del caro e sciocco Gengè.
Ed è in momenti come questo che riusciamo a cogliere lo straordinario genio di Pirandello che dosa sapientemente dramma e umorismo, in un magnifico gioco di contrari: nel momento in cui assistiamo alla scomposizione dell’identità, al dramma di Vitangelo che realizza come la visione della personalità che ha lui non corrisponde a quella che ha la moglie, cogliamo immediatamente l’aspetto comico dietro la tragedia. La moglie, infatti, sorride e parla tranquillamente, continuando ad elencare i difetti del marito.
E così si mescolano comico e tragico, narrazione e metanarrazione, e il relativismo regna sovrano. Vitangelo Moscarda acquisisce intima consapevolezza che ogni essere umano crea nella sua mente una visione soggettiva di ciò che ogni singolo individuo rappresenta, in base a delle supposizioni; nella società un uomo non è “uno” agli occhi degli altri, ma è “centomila” individualità.
“Ma voglio dirvi prima, almeno in succinto, le pazzie che cominciai a fare per scoprire tutti quegli altri Moscarda che vivevano nei miei più vicini conoscenti, e distruggerli ad uno ad uno”.
L’essere umano diventa “nessuno”
Chi di noi non ha mai provato la tragica sensazione che gli altri non conoscano pienamente la nostra identità? O che noi stessi non potremo mai conoscerci pienamente?
In “Uno, nessuno e centomila”, il protagonista rifiuta la propria personalità, la cancella e decide di allontanarsi dalla società. La sua soluzione estrema è quella di trascorrere il resto della sua esistenza in manicomio, dove potrà essere il signor “nessuno”.
“E tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni”.
Perché leggere Uno, nessuno e centomila?
“Uno, nessuno e centomila” è un romanzo di estrema attualità. Nel leggerlo, nel realizzare come l’immagine di ciascuno di noi venga creata da chi ci osserva, riflettiamo su tutte le volte in cui ci siamo sentiti incompresi dagli altri, su tutti quei casi in cui la nostra personalità non è emersa in modo reale ed autentico nella nostra quotidianità e con le persone a noi care.
Pirandello riesce a scuoterci intimamente, mettendo a dura prova le nostre convinzioni radicate. Nulla è fermo, neanche le opinioni degli altri. E, quindi, come deve comportarsi l’uomo? Certamente non può e non deve inseguirle, anche perché non ha affatto il potere di cambiarle.
Come accade spesso in letteratura, l’autore non vuole dare risposte ai nostri dubbi, ma semplicemente aiutarci a riflettere. Spetta poi a ciascuno di noi, con il libero arbitrio che ci contraddistingue, scegliere il modo migliore di agire, cogliere il percorso adatto per ovviare ai contrasti della mente umana.
Proprio la dimensione interrogativa è un’altra cifra distintiva del romanzo: in questo inarrestabile monologo interlocutorio possiamo contare più di 500 di punti di domanda. E gli interrogativi, evidentemente, incentivano ulteriormente il tema del doppio: ogni domanda, infatti, presuppone una dualità tra colui che interroga e chi risponde.
Nell’opera il lettore è spettatore e protagonista allo stesso tempo
Potrebbe sembrare un’antitesi parlare di monologo e individuare un soggetto a cui sono rivolte le domande, ma in realtà il contrasto è solo apparente: Vitangelo dice “Si vede che avevate molto tempo da perdere”. Ed è qui che si rivolge ai lettori ed è qui che ritorna lo specchio perché proprio il lettore diventa una delle tante superfici riflettenti che scompone il protagonista. Il lettore rappresenta quindi, al tempo stesso, uno spettatore e un protagonista vero e proprio.
I confini tra chi narra e chi legge sono labili e non può che essere così in un testo umoristico, che scorre come il flusso della vita. Un flusso straripante che oltrepassa anche le forme della struttura romanzesca: un esempio è rappresentato dai titoli dei capitoli che, oltre ad essere spesso interlocutori, possono infrangere le convenzioni, diventare parte integrante del testo, legandosi alla conclusione del capitolo precedente.
Vitangelo viene descritto come un inetto, proprio come tanti altri famosi personaggi romanzeschi, ma chi ci dice che questa inettitudine non rappresenti, invece, un pregio? Da questo suo punto di partenza, infatti, può cambiare continuamente le prospettive, i punti di vista, osservare il mondo in modo rovesciato: è lo stesso protagonista, infatti, a dire che è in grado di vedere i sassolini come fossero montagne e quindi di avere uno spirito pieno di mondi o di sassolini, quindi di contrari.
Dalla capacità di osservare i contrari, arriviamo alla riflessione e alla conseguente scomposizione della identità che caratterizza ogni individuo. Ed è proprio grazie alla follia, a quella apparentemente insensata disgregazione del proprio io e delle sue forme, dalla crisi dell’identità, che Vitangelo esce del tutto dalla società, si ricollega al flusso vitale. Moscarda affermerà di non avere più nomi e di non volerne, e così riuscirà a vivere.
L’uomo pirandelliano è l’uomo che vive un grande conflitto interiore
Pur conscio della molteplicità di ciò che sente, di come agisce e di come tali aspetti si rinnovino continuamente, è costretto in una maschera (che può essere la più varia possibile), maschera che “tiene ferma” la sua identità, soffocando la vita vera.
Siamo tutti vittime di questa maschera, prigionieri di ruoli sociali a cui è impossibile sottrarsi? Indubbiamente è una condizione tragica quella in cui si trova l’uomo, diviso tra il desiderio di essere libero senza una forma prestabilita e la consapevolezza della difficoltà che sia accettata e vissuta una vita senza forma. Ecco che l’uomo viene messo di fronte a se stesso, all’assurdità della propria condizione e ciò non può che generare confusione e disagio.
Tuttavia, la messa in discussione dello status quo, della propria capacità di vivere, può portare certamente a reazioni diversificate. Perché in fondo, ognuno di noi è sempre libero di scegliere se continuare ad indossare in modo consapevole una maschera, rinunciando per sempre a se stesso, oppure ribellarsi contro le convenzioni. Rinnovarsi, ogni giorno, sperimentando il proprio io, ma senza perdere l’autenticità che ci caratterizza.
Un romanzo indimenticabile, che deve essere letto almeno una volta nella vita.
Stefania Baudo