La popolazione cinese, con oltre un miliardo e trecento milioni di abitanti, è la più numerosa al mondo. Al fine di evitare un aumento incontrollato, per quasi trent’anni è stata in vigore la politica del figlio unico. Vediamo di cosa si tratta e quali risultati sono stati raggiunti.
La politica del figlio unico (一孩政策) è stata una delle leggi più famose e controverse nella storia cinese recente. Attuata nel 1979, stabiliva che le coppie cinesi non potessero avere più di un figlio. L’eccezione principale riguardava le zone rurali: a partire dal 1984, le coppie residenti in queste aree avevano diritto ad un secondo figlio, ma solo se il primo era una femmina.
Questa politica veniva applicata nei confronti delle etnie: Han (maggioritaria nel Paese), Zhuang e Manciù. Per le altre, come ad esempio quella Hmong, i vincoli erano minori. Non veniva invece applicata per l’etnia tibetana e per le città di Hong Kong e Macao.
Ma come si è arrivati a questa legge? È necessario fare un passo indietro.
L’espansione demografica con Mao Zedong
In seguito alla nascita della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nel 1949, Mao Zedong attuò numerose politiche in sostegno della natalità. Era convinto, infatti, che la forza di un Paese si misurasse attraverso il numero di abitanti. Inoltre, nel 1958, il “Grande Timoniere” varò il “Grande balzo in avanti“, un programma socio-economico che aveva l’obiettivo di trasformare la Cina da una società rurale ad una potenza economica moderna. Per realizzare questo sogno era necessaria perciò tanta manodopera.
Con il passare degli anni, però, ci si rese conto che l’espansione demografica stava diventando sempre più incontrollata. All’inizio degli anni ’70 iniziarono i primi progetti in favore di una politica di controllo delle nascite. La più famosa era quella il cui motto recitava: “晚 稀 少” (wǎn xī shǎo; tardi sparso poco), dove “tardi” era riferito alla nascita del primo figlio, “sparso” all’intervallo di tempo tra il primo e il secondo, mentre “poco” riguardava ovviamente il numero di figli. Questi erano passati dall’essere la forza del Paese a rappresentare un ostacolo per l’economia. Ecco perché, nel 1979, Deng Xiaoping attuò la politica del figlio unico.
La politica del figlio unico e i Diritti dell’infanzia
Dal punto di vista dei diritti dell’infanzia, e non solo, la politica del figlio unico è stata molto contestata. Innanzitutto ha incentivato l’aborto selettivo in quanto le famiglie preferivano dare alla luce un figlio maschio. Nel caso dei dipendenti statali il secondo figlio comportava aborto o sterilizzazioni. In ogni caso le multe spropositate erano inevitabili, con il rischio concreto di perdere il proprio posto di lavoro. Ecco perché molti bambini cinesi non sono stati registrati all’anagrafe, con la conseguenza che, finché la legge è rimasta in vigore, non hanno potuto accedere ai servizi pubblici come la scuola.
Emblematiche sono le tre testimonianze raccontate nel video “Vite invisibili: l’eredità della politica del figlio unico in Cina”, che vi invito a guardare.
La prima riguarda Yang Shishu, professore universitario di diritto che, nel 2010, è stato sospeso dal lavoro con una buonuscita di 13,50€ (non è un errore, era proprio tredici e cinquanta!) e multato di 33.000€ in seguito alla nascita del secondo figlio.
La seconda è invece la storia di Li Xue, secondogenita non registrata all’anagrafe per 23 anni. Ciò è dovuto al mancato pagamento della multa di 683€, una cifra molto elevata nel 1993. Per questo la ragazza non è mai potuta andare a scuola. La madre invece fu licenziata dal suo lavoro.
Infine c’è la testimonianza di Liu Chunyan, una madre single che, per questo motivo, non aveva il “permesso di procreazione”. Quando ha provato a registrare la figlia le è stato chiesto di pagare una multa di 110.000€ che ovviamente non pagò. La figlia, quindi, non ha potuto frequentare la scuola pubblica.
Ma la politica del figlio unico ha raggiunto i suoi obiettivi?
A due anni dalla fine della legge – è stata abolita alla fine del 2015 in favore della politica del doppio figlio – la risposta è no. Questa valutazione non dipende tanto dal numero di nascite, ma dagli effetti collaterali disastrosi. Questa politica, infatti, ha portato ad un invecchiamento della popolazione, ribaltando di fatto il problema. In particolare, oltre alla difficoltà nella produttività del Paese, dovrà essere rivisto completamente il sistema pensionistico.
Per quanto riguarda le nascite, invece, c’è stato un piccolo baby boom. Tuttavia è stato posto l’accento sul fatto che, come avviene in Italia, molte madri sono costrette a scegliere tra maternità e lavoro. Il governo cinese, con un cambio deciso di rotta, ha quindi deciso di introdurre il “bonus bebè” per il secondo figlio.
Un altro effetto negativo è rappresentato dall’aumento del 30,6% della mortalità legata al parto o alla gravidanza. Questo perché molte mamme over 35, che in questi casi sono maggiormente a rischio, hanno cercato di avere un secondo figlio. Infine, a causa dell’aborto selettivo, c’è stato un netto squilibrio di genere che ha portato alla presenza di 106,3 uomini ogni 100 donne.
Che sia stata una scelta demografica vincente o meno, la politica del figlio unico è stata comunque un abominio dal punto di vista dei diritti per l’infanzia.
Classe 1986. All’università ho scoperto la lingua cinese ed è stato amore a prima vista, tanto che da allora ho continuato a studiarla da autodidatta.
Nel blog, oltre a parlarvi della cultura cinese, cercherò di rendervi più familiare una delle lingue più incomprensibili per antonomasia.
Potete contattarmi scrivendo a: m.bruno@inchiostrovirtuale.it