Pietro de Viola racconta la vita dei precari
Si scrive giovani, si legge “senza niente”. È questo il ritratto impietoso di una generazione, i trentenni di oggi e non solo, costretti a fare i conti con la crisi economica, ma soprattutto con la conseguente difficoltà di trovare lavoro. E Alice, la protagonista del romanzo di Pietro de Viola, giovane scrittore siciliano esordiente, ne è un esempio emblematico.
Nel libro Alice senza niente, infatti, la donna è una trentenne laureata in scienze politiche con il massimo dei voti, che trascorre le proprie giornate dividendosi tra la ricerca di un lavoro che fatica a trovare, colloqui che rasentano il ridicolo e barcamenandosi con i più vari espedienti al fine di riuscire a sbarcare il lunario. Il sogno di Alice, paradossalmente, sarebbe quello di diventare almeno precaria, in quanto la precarietà per lei significherebbe avere un lavoro, anche se limitato nel tempo.
Non va troppo per il sottile la nostra cara protagonista ed è, infatti, lei stessa a definirsi:
“Un giorno aspirante cassiera, un giorno aspirante bancaria, un giorno aspirante infermiera, e sempre e comunque aspirante aria”.
La genesi del romanzo
Questo romanzo ha una storia molto particolare. Prima di essere pubblicato da una casa editrice (Terre di Mezzo), infatti, è nato come ebook in rete e proprio qui è spopolato, riuscendo ad ottenere un risultato straordinario pari a 35mila copie scaricate in poco tempo, diventando così un vero e proprio caso letterario. Inoltre, è stata molto originale anche la campagna che ha preceduto il lancio del libro, tra book trailers su Youtube, utilizzo di blog, di Facebook e Twitter.
Ma a decretarne il successo definitivo è stato il fatto di essere riuscito a diventare il manifesto di migliaia di giovani, cresciuti con il mito che, studiando brillantemente e ottenendo una tanto sudata laurea, sarebbe stato, se non semplice, quantomeno realistico credere di poter trovare un posto di lavoro.
“Invece la realtà degli ultimi anni ha infranto questi sogni, queste speranze, determinando una generazione di “senza niente”.
Senza niente perché il lavoro è diventato un vero sconosciuto. E pensare che i Padri costituenti avevano immaginato proprio il lavoro come fondamento del nostro Stato e che, all’art. 4 Cost. avevano sancito che:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Alice senza niente: la trama e i personaggi
La nostra Alice, tra mille difficoltà, cerca di sopravvivere in un monolocale insieme al suo fidanzato Riccardo “ex muratore laureato in legge” che insegna privatamente chitarra, ovviamente in nero. Sembrerebbe che siano l’amore e la vita di coppia l’unica ancora di salvezza per questa generazione e, in questo libro, tali ingredienti riempiono il vuoto dei due giovani fidanzati i quali non hanno niente, tranne appunto il rapporto che li lega.
C’è grande ironia, ma anche tanta analisi lucida e spietata della dura realtà, di chi cerca lavoro in questo romanzo e i due elementi si mescolano alla perfezione. È impossibile non immedesimarsi, purtroppo, in quello stato di alienazione che si avverte nel compilare centinaia di curricula online; le informazioni da inserire non vengono quasi più percepite come personali:
“Come se quella che sto descrivendo nel modulo prestampato non fosse la mia vita ma quella di una poetessa russa dell’ottocento ed io l’avessi leggiucchiata in metro soltanto mezz’ora prima dell’interrogazione“.
Di grande impatto è la descrizione del colloquio, uno dei tanti, che Alice sostiene per diventare cassiera nella grande distribuzione.
In questa occasione si percepisce in modo netto quell’opprimente senso di frustrazione, il sentirsi schiacciati e soffocati da una concorrenza spietata, ma anche dall’indifferenza di chi ti sottopone alla selezione, che sembra giudicarti dall’alto del pulpito con domande che, spesso, rasentano il ridicolo, quasi come se si fosse all’interno di una candid camera, mentre tutto è, invece, grottescamente vero.
Paradossalmente, può anche accadere di dover nascondere di essere in possesso di una laurea perché, altrimenti, ci si potrebbe sentir dire di essere troppo qualificati per ricoprire una determinata posizione. Ecco, dunque, che viene spontaneo chiedersi se sia normale dover quasi rinnegare il proprio titolo di studio e che Paese sia quello in cui ci si debba vergognare di avere investito sulla formazione personale.
La precarietà dal punto di vista di Alice e le altre donne
Ma il dramma della mancanza di lavoro presenta anche ulteriori risvolti negativi su cui, forse, non ci si sofferma talvolta abbastanza. A questo riguardo, può essere opportuno evidenziare come non sia stata affatto casuale la scelta dell’autore di raccontare la precarietà dal punto di vista femminile.
Infatti, se è vero che tale piaga e la conseguente impossibilità di costruire la vita che si vorrebbe accomunano maschi e femmine, è altrettanto indiscutibile che queste ultime devono faticare il doppio per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini. Inoltre, la realizzazione di una donna a volte passa anche per la maternità su cui, senza lavoro, non si ha alcuna possibilità di scelta. Alice, infatti, parla del:
“Figlio che non ho e che vorrei (…); è un pensiero che scaccio mille volte l’anno per la sua irrealizzabilità ma torna sempre, anche se non l’ho chiesto“.
“Asociali forzati”
Questa precarietà, che ormai è sulla bocca di tutti, ha fortemente compromesso la vita in tutti i suoi aspetti e anche il modo di relazionarsi con gli altri, ha trasformato i rapporti interpersonali. Siamo diventati una generazione di “asociali forzati” perché:
“L’indigenza nascosta distrugge i rapporti tra le persone, riducendoli a tanti Adesso non posso, magari ti chiamo la prossima volta. Lo scambio, il confronto, il tenersi compagnia sono riflessi dei diamanti dell’esistenza, il motivo autentico del perché siamo nati. Ci tengono in vita, ci rendono persone. Ma a noi, che persone non siamo più, tali riflessi sono stati oscurati“.
Dal ritratto spietato, ma assolutamente realistico che De Viola traccia attraverso questo romanzo, viene da chiedersi: siamo destinati a restare precari per sempre? Saremo vittime dell’essere “senza lavoro, senza soldi e senza allegria” e a non sapere nulla del mese successivo?
Il romanzo rimane incompiuto e, probabilmente, tale scelta non è per nulla casuale dato che sono proprio abbozzate, a metà, le vite di tutti coloro che sono costretti a lottare per ottenere un posto di lavoro e per trovare il proprio spazio nel mondo. Tuttavia, l’autore non rinuncia ad una nota di positività che può tradursi in uno stimolo concreto per non arrendersi e guardare avanti con coraggio e fiducia e lo fa attraverso un sogno che la nostra Alice confida di poter realizzare e che potrebbe portarla fuori dal limbo in cui si trova confinata, suo malgrado. Si afferma con forza, inoltre, l’importanza di non rinunciare alla propria essenza e di ancorarsi a dei valori perché, come ci ricorda l’autore:
“Se è vero che crisi significa cambiamento, anche l’abituale schema di valori dovrà mutare, e se saremo capaci di sostituirne uno nostro potremo provare a giocare anche noi“.
Perché leggere Alice senza niente?
Alice senza niente si divora e certamente si prova una grande amarezza nel leggerlo. Tuttavia, identificandosi nella protagonista, ci si sente un po’ meno soli ed è proprio questo il sentimento che ho provato anche io. È un libro di denuncia, perché indubbiamente la mancanza di lavoro ti toglie anche la dignità e non si può non urlare a gran voce il dramma che oggi coinvolge un’intera generazione. Ma è un romanzo che, tra le righe, ci invita anche a non mollare, ad investire nei nostri sogni.
Occorre avere una sana dose di leggerezza e una grande fiducia nelle proprie capacità per esplorare nuove strade, per reinventare se stessi e per non smarrire il desiderio di fare, di agire. Non bisogna cedere mai all’autocommiserazione, quanto piuttosto fare in modo che la precarietà o l’assenza di lavoro non incidano sui nostri rapporti interpersonali: ben venga la sana competizione, ma riscopriamo più che mai la condivisione e la solidarietà collaborativa. È vero che il nostro lavoro ci caratterizza, ma la nostra identità è molto più complessa e non è solo la nostra attività lavorativa a definirci. E allora non ci resta che continuare a lottare con tenacia, dando sempre il meglio di noi stessi e auspicare che:
“Si compiano, e comincino davvero, finalmente, le nostre vite vere“.
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Stefania Baudo