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Oggi vogliamo indirizzare la vostra attenzione su una intervista, particolarmente significativa, fatta ad un ragazzo transessuale ftm, che affronta una problematica molto complessa lasciando però spazio alla normalità della quotidianità. Lasciamo la parola, dunque, a Gaia Garofalo di Eco Internazionale e al suo amico Gabriel.
Un articolo di Gaia Garofalo
Gabriel ha 21 anni: la mattina si lava, si veste e fa colazione. La tipica vita di un tipico ragazzo. Gabriel è un amante dei cani, è uno studente universitario, è palermitano, è il mio migliore amico, il suo colore preferito è il blu, quando parla cita molto spesso Aldo, Giovanni e Giacomo, ascolta Lucio Dalla e i Subsonica e non potrebbe fare a meno della crepe col gelato e della mia carbonara.
Gabriel è anche un ragazzo transessuale ftm (Female to Male).
Qual è la più grande difficoltà nell’essere se stessi?
“Accettare di combattere contro gli altri; nel momento in cui devi affermare te stesso è quasi automatico, e molto spesso gli altri non hanno questa coscienza nel capire che c’è qualcosa di diverso rispetto a se stessi“.
Quando hai capito di essere nel corpo sbagliato?
“In generale si comprende circa all’età di tre anni, perché s’inizia a sviluppare proprio in quegli anni l’identità di genere, ma ovviamente non è solo capirlo, ma accettarlo. Personalmente ho avuto il sentore da piccolino in quanto io mi rispecchiassi di più nei bambini piuttosto che nelle bambine, ma ho scoperto il mondo transessuale verso i 13 anni; mi avevano dato un ruolo maschile nel corso di teatro che stavo seguendo, quindi mi dovevo vestire secondo il genere del personaggio. Nel momento in cui mi vedevo allo specchio con giacca e cravatta capivo che stavo bene, bene rispetto a tutto il resto del vestiario che ero invece abituato a indossare ogni giorno, oltre al fatto che parlare di me al maschile lo sentissi così facile e naturale.
Cercai nel web transessualità, suggerito dalla mia migliore amica dei tempi, e piano piano ho capito che tutto ciò che avevo provato si ritrovava in quella parola. Inoltre vorrei aggiungere che non si tratta di corpo sbagliato, ma solo di sesso sbagliato e di genere assegnato alla nascita (nel mio caso quello femminile). Il mio corpo non è sbagliato. È casa mia, ciò che mi tiene in vita. Semplicemente, come una casa, va ristrutturata per poterci vivere e convivere serenamente“.
Qual è la sensazione? C’è un modo per descriverlo?
“Non c’è un modo per descriverlo perché non tutti provano le stesse sensazioni ed emozioni, ma posso fartelo capire così: immagina di essere stata per 21 anni Gaia Garofalo, un giorno però tu ti svegli e tutti fanno riferimento a te col nome Dario, levando la libertà della tua femminilità e tutti si approcciano a te come un maschio secondo tutti gli stereotipi della conseguenza. Senti tanto dolore, tanta sofferenza: tutti hanno delle aspettative che tu non senti di riuscire a confermare ma devi. Lì ti chiedi anche come sopravvivere a tutto questo“.
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