Prosegue la collaborazione con Eco Internazionale
Questa domenica, per la collaborazione con Eco Internazionale, ci spostiamo in Tunisia. Con Sabrina Landolina, ripercorriamo le tappe fondamentali del percorso che ha reso la Tunisia uno stato pioniere, in campo di diritti femminili nel mondo arabo. Buona lettura!
Un articolo di Sabrina Landolina
La Tunisia può essere considerata uno stato pioniere in campo di diritti femminili nel mondo arabo. Già nel 1956 Habib Bourguiba, il primo Presidente della Tunisia, aveva emancipato la donna tunisina conferendole diritti progressisti e inediti, come il divieto dell’uso dell’hijiab (velo tipico) nelle scuole, l’abolizione della poligamia e del ripudio.
Un’altra epocale svolta fu il divorzio, il quale venne regolamentato e reso equo: non fu più possibile per il marito ripudiare la moglie unilateralmente alla sola presenza di alcuni testimoni, ma fu introdotto l’obbligo di presentarsi in tribunale e la possibilità per le donne di divorziare senza il permesso del partner. Tuttavia, alcune questioni furono lasciate in sospeso, come la potestà dei figli (tradizionalmente affidata al padre in maniera esclusiva, dal 1956 le donne ottennero la custodia ma non la tutela legale della prole), le disuguaglianze in tema di eredità (una donna musulmana eredita la metà dei suoi fratelli) e la clausola matrimoniale dell’obbedienza dovuta dalla donna al marito.
Un altro dato interessante sulla prima repubblica della Tunisia sono le misure riguardanti il controllo delle nascite: per diminuire il tasso di natalità, insostenibile per una rapida crescita economica, il governo puntò sull’informazione e sul libero accesso alla contraccezione. Insieme all’alfabetizzazione venne portato avanti un progetto di pianificazione familiare attraverso una serie di leggi che dagli anni ’60 in poi incentivarono l’informazione relativa ai contraccettivi e la loro libera vendita nella farmacie, fino alla legalizzazione dell’aborto (entro tre mesi dal concepimento, in caso di rischio per la salute della madre oppure se non ci sono le condizioni economiche per crescere il bambino) avvenuta nel 1973.
Merito dell’impegno costante del movimento femminista se a partire dagli anni ’60 una serie di emendamenti indirizzarono il Paese verso una sempre maggiore uguaglianza anche in ambito pubblico.
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