
La Francia (e in particolare Parigi) è un po’ per tradizione, un po’ per immaginario collettivo, considerata dai più la patria dell’arte, e non è certo difficile intuire il perché. Essa, infatti, è la patria di alcuni dei movimenti artistici più famosi: basti pensare all’impressionismo, che vede in Monet il suo maggiore esponente, anche se il vero precursore di questo movimento fu Manet (ma in tal caso, più che di impressionismo sarebbe giusto parlare di pre-impressionismo).
Proprio ad Édouard Manet, precursore dell’impressionismo, la città di Milano dedica una mostra. Al Palazzo Reale, fino al 2 luglio (2017, ndr), sarà possibile ammirare più di cento capolavori del celebre artista francese. Ma non solo: la mostra, seppur in minima parte, è dedicata anche ad altri grandi artisti, suoi contemporanei, tra cui Degas, Cézanne e Gaugain.
Manet, l’artista della modernità
Come già detto, Manet è considerato il vero e proprio precursore dell’impressionismo ma, almeno all’inizio, non sembrava affatto destinato a diventare uno degli artisti più famosi della storia dell’arte. I genitori (il padre in particolare) erano decisamente contrari a questa sua passione per l’arte, tanto che lo spedirono prima in un collegio, dove però passava il tempo a disegnare e non certo a studiare, poi lo costrinsero a iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, ma anche questo tentativo di allontanarlo dal mondo dell’arte e del disegno fallì miseramente.
Infine, il giovane futuro artista s’imbarcò, come mozzo, in una nave mercantile, diretta versa il Brasile. Nelle speranze paterne, la vita in mare avrebbe dovuto distogliere il figlio da ogni sogno artistico, ma non aveva fatto i conti con l’estro e soprattutto con la passione ormai radicata di Édouard per tutto ciò che fosse arte. A bordo del mercantile, infatti, Manet non fece altro che disegnare i luoghi visitati e immortalare la vita in mare su fogli di carta.
Alla fine suo padre si arrese, con la segreta speranza che il figlio fallisse e si rendesse conto di quanto inconsistente sarebbe stata la sua vita come artista. Inutile dire che, ancora una volta, si sbagliò e di grosso.
L’atelier di Thomas Couture
Ottenuto finalmente il permesso di studiare Belle Arti, nel 1850 entrò a far parte dell’atelier di Thomas Couture ma, ahimè, ben presto tra i due si crearono non poche tensioni. Manet infatti era palesemente contrario all’arte “classica”, ovvero le ambientazioni storiche, le pose innaturali e plastiche e l’impersonalità dei soggetti. Questa sua vena critica lo fece progressivamente allontanare da Couture, ma lo avvicinò sempre più a un altro artista: Gustave Courbet, divenuto il massimo esponente di un movimento artistico in chiara antitesi con quello classico: il realismo.
Manet e il realismo di Courbet
Courbet faceva della realtà la vera protagonista dei suoi quadri: contadini, donne, poveri, erano questi i suoi soggetti e Manet ne rimase affascinato, tanto da creare la sua prima opera che rispecchia appieno questi suoi sentimenti: “Il bevitore di assenzio”, che immortala un uomo appoggiato contro un muretto, con accanto un bicchiere colmo di assenzio.
L’opera non ottenne grande risonanza, ma Manet non si scoraggiò e anzi, a distanza di pochi anni, fece la conoscenza di colui che più di tutti segnò la sua carriera: Charles Baudelaire che, nel suo saggio “Il pittore della vita moderna”, delineava la figura di un artista che aveva l’obbligo morale di imprimere su tela il presente, ovvero i momenti reali e vissuti nell’esatto momento in cui essi accadono. Manet aderì immediatamente a questa visione dell’arte.
Le salon des refusés
Le opere di stampo realista però, così diverse da quelle cui il pubblico era abituato, causarono non poco scalpore, tanto da essere rifiutate in toto dalle mostre dell’epoca e così artisti come Courbet, Doré e lo stesso Manet si ritrovarono a non aver accesso ai salon, con grande indignazione loro e dei seguaci. Fu per tale motivo che l’imperatore Napoleone III inaugurò Le salon des refusés, il salone degli esclusi, dove vennero esposte le opere che non erano ammesse ai salon ufficiali.
“Colazione sull’erba” di Manet
Manet presentò un’opera che generò scandalo e critiche assai aspre, ma che divenne senza dubbio una delle opere per la quale verrà sempre ricordato: “Colazione sull’erba“.

Il quadro ritrae un momento di tranquillità, in un boschetto, in cui due uomini seduti sull’erba chiacchierano tra loro, mentre una donna sullo sfondo è intenta a bagnarsi nel ruscello. Ciò che chiaramente destò scandalo fu la presenza della donna in primo piano, completamente nuda, che fissa lo spettatore. Non era certo la prima volta che un artista ritraeva un nudo femminile, ma prima di allora nessuno aveva mai ritratto una semplice donna senza alcun vestito addosso, ma solo dee o ninfe. Vedere per la prima volta una donna comune, in presenza di due uomini, completamente nuda, scatenò un vero vespaio di critiche e fece gridare allo scandalo.
I critici dell’epoca massacrarono l’opera definendola volgare, rozza e scandalosa, e la donna denudata venne definita senza mezzi termini una volgare prostituta.
Anche l’imperatore espresse la sua indignazione nei confronti del dipinto, e questo fece sì che Manet venisse bollato come un pittore senza altro talento se non quello di creare scandalo. Nonostante ciò, egli ottenne il suo scopo, ovvero diventare l’artista più conosciuto di Parigi, dato che da quel momento in poi non si parlò che di lui.
“Olympia” di Manet
Non contento, l’anno successivo, Manet espose un’altra opera che arrivò a suscitare ancora più scandalo e indignazione di quella precedente: “Olympia“.

L’opera ritrae senza ombra di dubbio una prostituta. Il nome Olympia, infatti, era il “nome d’arte” di molte prostitute di Parigi ma, nel caso in cui il nome non fosse stato abbastanza per chiarire l’identità della giovane donna, Manet dissemina il quadro di tanti piccoli dettagli che erano, in genere, associati proprio alle prostitute: il nastrino di raso nero allacciato sul collo, il braccialetto d’oro e le pantofole vistose sono solo alcuni di essi.
La posa di Olympia richiama alla mente la Venere di Tiziano, e questo non fece altro che infervorare ancora più il pubblico, che vedeva in questo quasi una beffa, una profanazione di ciò che era davvero l’arte. L’espressione invece è glaciale, quasi priva di emozione, e non vi è traccia di malizia o volontà di sedurre da parte di Olympia come ci si potrebbe aspettare e questo, paradossalmente, fu accolto in maniera molto negativa.
Perché? Beh, l’intento di Manet era quello di mostrare una donna, il suo corpo e soprattutto la consapevolezza che ella ha del suo corpo. Non ha necessità di ammiccare o sedurre: conosce il potere che ha sugli uomini e sa che essi la desiderano. In tal senso Manet raggiunse appieno lo scopo, suscitando imbarazzo negli uomini (che probabilmente ne erano segretamente affascinati) e indignazione tra le donne.
Le critiche dell’epoca
Tra i critici dell’epoca, il più autorevole, Jules Claretie, si espresse così:
Odalisca dal ventre giallo, ignobile modella pescata chissà dove.
Le critiche fecero si, però, che l’opera divenisse una delle più celebri mai esposte a Parigi. Ogni giorno migliaia e migliaia di persone si accalcavano per poterla vedere, anche solo per disprezzarla. Ci fu chi tentò anche di danneggiarla, per fortuna senza riuscirci.
Olympia ebbe pochi estimatori, tra cui Baudelaire ed Émile Zola, che scrisse un articolo in difesa dell’artista che tanto ammirava, e che iniziava con questa dissacrante frase:
Olympia ha il grave difetto di assomigliare a molte signorine che conoscete.
Inutile dire che l’indignazione aumentò a dismisura, proprio per l’assoluta veridicità della frase.
Il soggiorno in Spagna e le ultime opere
Stanco delle critiche, Manet soggiornò per qualche anno in Spagna, dove continuò la sua produzione di opere. Al suo ritorno a Parigi, pur non prendendo parte alle mostre, s’impegnò ad aiutare con ogni mezzo giovani artisti come Renoir e Monet, esponenti del nuovo movimento dell’impressionismo.
“Il bar delle Folie-Bergère” di Manet
La sua ultima opera è datata 1882. “Il bar delle Folie-Bergère“ fu l’ultima opera con la quale Manet sperò di incontrare il favore del pubblico e della critica, ma ancora una volta ne rimase deluso.

Il quadro mostra un momento di vita quotidiana, dove una giovane dietro al bancone del bar attende di conoscere l’ordine del cliente che le sta di fronte e che vediamo riflesso allo specchio, sulla destra. La prospettiva è chiaramente falsata, e questo perché Manet vuole farci vedere la sala riflessa allo specchio, piena di gente che chiacchiera, beve e si diverte, in piena contrapposizione con l’espressione annoiata e atona della ragazza. La vita, la gaiezza dei clienti si scontrano con l’apatia, quasi l’alienazione della ragazza che forse vorrebbe scappare, forse vorrebbe un avvenire diverso.
Il realismo di Manet raggiunge i massimi livelli in quest’opera, in quanto la giovane al bancone lavorava davvero al bar e si chiamava Suzon. Ed è al realismo che Manet si ferma, benchè spesso venga annoverato tra le fila degli impressionisti; egli non fu mai un impressionista, proprio perché si è sempre limitato a dipingere la realtà e lo faceva imprimendola sui volti dei suoi soggetti. La differenza netta tra realismo e impressionismo si ha, a mio avviso, nel confronto tra le opere di Manet e forse l’opera più famosa di Monet, “Impressione, levar del sole“, quadro che Monet dipinse en plein air, ovvero dal vivo. È reale? Certamente, ma un realismo completamente differente e che ci permette di affermare senza ombra di dubbio che Manet non fu mai un esponente dell’impressionismo, ma che certamente gettò molte basi affinché esso potesse nascere.
La morte di Édouard Manet
Manet morì nel 1883, a causa di un’atassia locomotoria che lo debilitò. I suoi amici e ammiratori, pochi ma fedeli, gli tributarono tutti gli onori, ma in vita non ottenne mai il riconoscimento che era certo di meritare. Fu da morto, come spesso accade, che pian piano il suo talento iniziò ad essere riconosciuto e con il diffondersi del movimento impressionista, divenuto sempre più forte e di maggior risonanza, le opere di Manet ottennero finalmente il plauso del pubblico in ogni parte d’Europa, tanto che nel 1907, l’opera che aveva suscitato scandalo e indignazione, “Olympia”, fu accolta con entusiasmo al museo del Louvre.
Oggi, a più di 130 dalla scomparsa di questo grandissimo artista, la sua fama e il suo talento vengono ancora celebrati con entusiasmo, e le sue opere suscitano ancora ammirazione. Non vi è alcuna epidemia di risate davanti all’Olympia, come avevano scritto i critici dell’epoca, e se Manet potesse presenziare a una delle mostre a lui dedicate, oggi forse esclamerebbe un “Finalmente“! O forse, semplicemente, resterebbe in silenzio, a godersi lo spettacolo d’arte che ci ha lasciato.
E per finire, una piccola curiosità che forse potrà interessarvi!
Fino al 29 aprile (2017, ndr), sarà possibile vedere in anteprima il film “Cézanne et moi” di Danièle Thompson. Il biglietto per la mostra “Manet e la Parigi moderna“ dà diritto a uno sconto sul biglietto per la proiezione del film. Trovate tutte le info sulla mostra e l’anteprima qui.
Serena Aiello
Ex studentessa ormai (e finalmente) laureata, lettrice vorace e scrittrice per diletto. Raramente mi interesso ad un solo argomento, mi piace scoprire nuove cose e mi piace confrontare le mie idee con quelle degli altri, cosa che spero accadrà con i miei articoli.