Onomastico e compleanno mi cadono in date ravvicinate, cosicché di solito il 17 maggio (onomastico) cerco di programmare come festeggiare il 27 giugno (compleanno).
Lo scorso 17 maggio ho provato a prevedere se sarebbe rientrata o meno, nei 40 giorni successivi, l’emergenza COVID. Mi ero risposto di sì, almeno quanto bastasse per festeggiare, in rassicurante tranquillità, con un pranzo fuori.
Arrivati al 27 giugno, devo dire che il miglioramento radicale che mi attendevo non è ancora arrivato, in particolare né in Lombardia, né in Liguria, dove mi trovo in questi giorni. Quindi oggi pranzo a casa, nuova modalità di fruizione del compleanno al tempo del Covid-19.
Ma come sono cambiati i numeri del contagio, e quali cambiamenti di abitudini e di comportamento si avviano a trasformarsi da emergenziali a permanenti, almeno nel medio periodo?
(Nota: a fine marzo avevo pubblicato una mia prima analisi sul COVID-19)


I numeri della pandemia

Fin da fine febbraio, il Dipartimento della Protezione Civile ha pubblicato su GitHub i dati giornalieri forniti dalla sanità delle 21 regioni. A livello di regione è disponibile un set abbastanza completo (numero di tamponi effettuati, numero di casi testati, positivi, ospedalizzati…). Per le singole province, invece, è disponibile solo il dato del totale giornaliero dei casi positivi (dettagli nell’articolo citato).

Importando in Excel i dati pubblicati ogni giorno alle 18, è possibile ricavare qualche metrica che aiuta a confrontare la situazione tra regione e regione (o provincia e provincia), oltre che l’andamento temporale per singole zone.

I tamponi

Questa è una delle misure più controverse. Se ne fanno pochi? Troppi? A chi si fanno? Perché nel fine settimana si rallenta?

Una misura di riferimento per i tamponi può essere la percentuale di tamponi positivi sul totale di quelli effettuati negli ultimi 7 giorni, in modo da eliminare l’effetto fine settimana.

Il principale problema, non solo per i tamponi, è però nella non uniformità di metodo tra regione e regione. Chi è stato previdente e ha fatto scorta dei materiali critici ha potuto gestire con maggiore tempestività l’emergenza rispetto ad altri, che in alcuni casi sembrano essere in difficoltà ancora oggi. Non è noto, quindi, con quale criterio vengano effettuati i tamponi nelle varie regioni.

Si tratta di un punto rilevante: è evidente che se si effettuano tamponi in qualche modo mirati (es.: contatti di soggetti positivi), si ottiene una percentuale di positivi maggiore di quella che deriva da un semplice test a campione. Quindi, più significativo del confronto tra regione e regione, conviene guardare all’andamento nel tempo della misura, per le singole regioni.

Si scopre allora che, ad esempio per la Lombardia, la percentuale di positivi si è dimezzata nel mese di maggio (da poco meno del 6% a 2.5%) ma è poi praticamente stabile da allora, per scendere sotto l’1,5% solo negli ultimi giorni.

Compleanno al tempo del Covid-19: tamponi in Lombardia
Per un’altra regione critica, l’Emilia Romagna, sempre scelta come esempio, la percentuale è scesa più velocemente in maggio (dal 3% a un valore minore all’1%), per poi scendere ancora fino allo 0.3%, con risalita allo 0.6% negli ultimi giorni.

Compleanno al tempo del Covid-19: tamponi in Emilia-Romagna

Altra differenza evidente: mentre in Lombardia il numero di tamponi effettuati è calato in giugno, rispetto a maggio, nell’Emilia-Romagna è avvenuto l’inverso, più tamponi in giugno rispetto a maggio.

I decessi e i posti occupati in terapia intensiva

Questi due dati drammatici danno un’indicazione di quanto il contagio faccia ancora danni irreparabili, almeno in alcune regioni.
Anche qui, piuttosto che guardare al singolo dato giornaliero, conviene ragionare sul cumulato degli ultimi 7 giorni e confrontare con la stessa metrica rilevata 28 giorni prima (4 settimane).
Ancora una volta è la Lombardia in particolare, e in misura inferiore le altre grandi regioni del Nord Italia, ad avere i dati peggiori.
Per i decessi è interessante notare come la Lombardia abbia lo stesso indicatore di quattro settimane fa del Piemonte, seconda regione per gravità. Ulteriore conferma dei tempi più lunghi di recupero, per chi abita in Lombardia.

Nota: variazioni negative dei decessi sono dovute a correzioni dei valori, a compensazione di errate contabilizzazioni dei giorni precedenti.

I positivi e le persone in isolamento domiciliare

Su questi due dati può pesare maggiormente l’incertezza del metodo utilizzato a livello regionale per individuare i positivi (in particolare gli asintomatici) e per prescrivere l’isolamento fiduciario. Comunque anche qui la Lombardia sembra recuperare certamente, ma in tempi più lunghi rispetto alle altre regioni.

Note: variazioni negative dei positivi sono dovute a correzioni dei valori, a compensazione di errate contabilizzazioni dei giorni precedenti;
il dato dei positivi a 7 giorni della provincia di Trento è dovuto a un ricalcolo di pochi giorni fa.

In sintesi

Per quello che vale, la mia sintesi si articola in pochi punti.

L’apertura simultanea di tutte le regioni ha soddisfatto certamente il criterio della semplicità gestionale e di comunicazione: effettuandola a livello regionale ci sarebbero stati casi di paesi vicini, a cavallo dei confini regionali, con regole di apertura differenti. In questo modo si è però penalizzato in qualche misura alcune regioni del sud che avrebbero potuto aprire con qualche settimana di anticipo.
Le considerazioni di cosa sarebbe avvenuto, a parti scambiate tra Nord e Sud, è materia opinabile che lascerei fuori da questa sintesi.

Distanziamento, igiene e protezioni individuali sono state sicuramente determinanti nella drastica diminuzione dell’incidenza del contagio. Ora, però, soprattutto dopo l’apertura di giugno, non possono da sole ridurre a zero il contagio. Serve il tracciamento (e la relativa gestione tempestiva) dei casi positivi.

Se su questo fronte non si fa nulla, con l’arrivo dei mesi autunnali temo che ci attenderanno dei focolai qui e là, da gestire con chiusure ad hoc.
C’è solo da sperare che si mantengano vive le norme di distanziamento e igiene, e che ci sia una buona adesione alla campagna di vaccinazione anti-influenzale. A proposito, sapranno gestire le ASL (o ASST) operazioni tempestive, regolari e senza assembramenti di persone in prevalenza diversamente giovani, e quindi a rischio?

L’app Immuni

Doveva essere, e potrebbe ancora riuscire a essere, l’arma determinante per il tracciamento e la gestione rapida ed efficace dei casi positivi.
Purtroppo, come tante italiche cose, pur in presenza di una documentata e certificata protezione dei dati personali (che peraltro regaliamo a profusione e senza esitazione ai vari Social Network), sta lì, a un livello non ancora adeguato di utilizzo, perché l’italiano medio ha dubbi.
Eppure, se si legge bene la documentazione del funzionamento dell’app, non c’è alcun rischio per la propria privacy. Perfino la decisione se ricorrere alle strutture sanitarie o meno, in caso di alert dall’app, è nelle nostre mani. C’è da augurarsi, senza grandi speranze, un rapido rinsavimento collettivo.

Come ci cambierà la vita

È inevitabile che molte delle auto-limitazioni a cui ci stiamo sottoponendo cadranno via via. Però qualcosa rimarrà, insieme ad alcuni mutamenti inevitabili nella scuola, nei trasporti, nelle modalità di lavoro, nell’impiego del tempo libero.

Lo smart working

È un tema su cui si dibatte molto in questi giorni, spesso dopo essersi assicurati di aver tagliato fuori il buonsenso.

Molti sembrano ragionare immaginandone un’applicazione generalizzata e indiscriminata. No, almeno con l’attuale organizzazione del lavoro, non è di questo che si deve discutere.

Se ne può immaginare un progressivo affiancamento al lavoro in ufficio? Sì, si può, anzi si deve e si può cominciare da oggi.
Se, laddove possibile, si lavorasse un giorno a settimana da casa, infatti, si migliorerebbero i ritmi di lavoro, si contribuirebbe a un minor inquinamento e si ridurrebbero i costi di trasporto.
L’ostacolo maggiore, almeno sulla base della mia esperienza personale, è nella (non) capacità di fissare e condividere gli obiettivi lavorativi con i propri collaboratori, per poi controllarne il raggiungimento. Insomma, occorre avere una visione e saperla comunicare, instaurando efficaci livelli di delega. Non è facile, ma si può (deve) fare, a beneficio anche dell’efficienza del lavoratore e della sua gratificazione.

Se oggi molti si dichiarano contrari allo smart working, credo sia principalmente per i fattori appena descritti. Ma se si comincia da un giorno su cinque, forse, si riesce a cambiare progressivamente.
Un esempio? Ricordo i lunedì spesi a compilare Excel & Power point giganteschi per i vari meeting decisionali del tardo pomeriggio. È un lavoro che si può fare da casa (purché ci sia l’accesso ai database aziendali), risparmiando tempo e senza pesare sul traffico del lunedì mattina. Perché non farlo?
Credo che sia semplice trovare altri esempi di momenti lavorativi in cui il contatto fisico sia non essenziale. D’altra parte il WhatsApp da scrivania a scrivania è di largo utilizzo in ufficio: prenoto una risposta, senza chiedere l’immediata attenzione dell’altro. Cosa cambierebbe lavorando da casa?

La scuola

Finalmente, dopo aver sistemato anche il calcetto e il beach volley, pare che si consolidino anche le linee guida per la scuola.
Al di là della facile ironia, si è perso tempo, troppo tempo. Distanziamento significa meno ragazzi per classe, quindi:

  • più ore di insegnamento;
  • più aule o un maggior utilizzo delle aule attuali (doppi turni? lezioni di sabato?);
  • ma anche più insegnanti.

A fine giugno e con la burocrazia che ci si ritrova, anche nell’organizzazione scolastica, sarà un miracolo evitare il caos.

I trasporti

Fatalmente si tornerà ai livelli pre-COVID, o almeno non molto lontano.
Sarà forse possibile diminuire i picchi di utilizzo, se ci sarà maggiore flessibilità negli orari di ingresso e uscita dal lavoro, e una quota ragionevole di smart working. L’utilizzo di mezzi alternativi non penso possa essere molto rilevante nei mesi più freddi del prossimo inverno.

Gli acquisti

Durante il lockdown c’è stata una rilevante crescita degli acquisti online: naturalmente Amazon, ma anche i supermercati e, a livello locale, negozi di frutta e verdura e farmacie.
Nelle settimane iniziali ottenere uno slot di consegna dal supermercato era un’impresa da eroi. Poi le cose sono nettamente migliorate, la spesa online funziona. Tutto sta a capire se la fascia dei pensionati rinuncerà alla spesa al super, che rimane pur sempre un momento di vitalità. Dovessi scommettere, punterei su un ritorno alla spesa diretta. L’online rimarrà, probabilmente, appannaggio di chi, lavorando e con figli, non rinuncerà alla comodità di evitarsi la corsa al super, appena usciti dall’ufficio.

Tempo libero

Cosa sarà di cinema, teatri ed eventi? E le uscite per pizzerie e ristoranti?
La velocità con cui si riprenderanno i livelli pre-COVID sarà funzione dell’autunno e inverno che ci attendono. Dovessimo sperimentare altri focolai, la prudenza terrà molti a casa, lontani da eventi anche minimamente affollati.
Ma poi si tornerà ai livelli pre-COVID, almeno così spero e mi auguro.

Immagine di apertura di Anastasia Gepp da Pixabay.

Scritto da:

Pasquale

Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it