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Il tema che abbiamo scelto per questo mese è la transizione e, cogliendo la palla al balzo, proponiamo un nuovo articolo di Eco Internazionale. Lasciamo la parola a Riccardo Passantino, che affronta il tema della transizione politica che l’America si è trovata ad affrontare con l’uscita di scena di Barack Obama e l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, tenendo d’occhio in particolar modo la critica situazione sul fronte internazionale con l’Iran. Buona lettura!

Un articolo di Riccardo Passantino

Con l’uscita di scena di Barack Obama, il primo Presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti d’America e l’elezione di Donald Trump, un imprenditore milionario prestato alla politica, era chiaro che la politica americana avrebbe subito un forte cambiamento. Ma l’intensità di questo cambiamento era difficile da immaginare.  

Non appena insediatosi alla Casa Bianca, Donald Trump, ha perseguito l’insolito obiettivo per un politico di mantenere le promesse fatte ai suoi elettori in campagna elettorale. Non importa a quale costo. Infatti egli al grido di “America first” ha scaldato gli animi degli esclusi dal grande banchetto della globalizzazione e rivoluzionato la politica estera della superpotenza statunitense, improntandola ad un più deciso isolazionismo e ad un ritorno all’unilateralismo che ricorda da vicino l’era di J.W. Bush.

L’approccio di Trump ha rappresentato sicuramente un’inversione di tendenza rispetto a quanto fatto durante gli anni della presidenza Obama, un’eredità da cui Trump prende le distanze e che intende radere al suolo. A cominciare dalla costruzione di un canale di dialogo con l’Iran e dalla sigla dell’accordo sul nucleare, obiettivi perseguiti con abnegazione da Obama.

È proprio per questa differenza di approccio che la gestione del dossier iraniano è destinato ha rappresentare un fatto distintivo tra le due esperienze presidenziali, che inciderà profondamente sulle dinamiche dell’ordine mondiale che verrà. A testimoniare questa discontinuità, ad appena un anno dal suo insediamento, i rapporti tra gli USA e l’Iran sono peggiorati nettamente. Che sarebbe stato così era già evidente dai tempi della campagna elettorale del Tycoon quando prometteva di cancellare l’accordo con Teheran, definendolo come “il peggiore di sempre”.

Per Trump scendere a patti con l’Iran, la fonte dei mali del pianeta, è stata una scelta inaccettabile e controproducente per gli interessi americani, almeno per tre motivi. Dal suo punto di vista, questo accordo ha rappresentato un “semaforo verde” per la Repubblica Islamica che, non appena “riammessa” nella comunità internazionale, grazie alla sospensione delle sanzioni, ne ha subito approfittato per piegare gli equilibri del Medio Oriente in suo favore, intervenendo da protagonista in Siria, in Iraq e in Yemen.

In secondo luogo, il presidente americano non tollera l’appoggio iraniano al terrorismo di matrice islamica, che ha la sua più chiara espressione nell’appoggio alle milizie di Hezbollah in Libano e rappresenta una costante minaccia alla sicurezza nazionale. In terzo luogo, sebbene sembri aver messo da parte i propri progetti militari nucleari, l’Iran porta ancora avanti  il suo programma missilistico contribuendo ad alzare il livello della tensione nel Golfo Persico. Per Trump tutto questo è stato possibile solo grazie all’accordo raggiunto e sbandierato come un successo da Obama. Infatti, a suo avviso, se al posto del negoziato si fosse persistito con l’imposizione delle sanzioni, oggi Teheran sarebbe in ginocchio e non godrebbe di un posto da superpotenza nei tavoli che contano.


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