Margaret Court Arena - Australian Open 2021

Piccole riflessioni sull’ennesima uscita omofoba dell’ex tennista Margaret Court e sulla proposta di cambiare il nome al campo a lei intitolato

Margaret Court è una delle più grandi tenniste di tutti i tempi. Per chi fosse abituato a giudicare la grandezza di uno sportivo dai semplici dati statistici, questa investitura appare incontrastabile: l’australiana detiene tuttora il record di Slam vinti in singolare (24, con Serena Williams ferma a 23) e in assoluto (62 considerando doppio e doppio misto, record questo irraggiungibile). La sua infinita grandezza sul rettangolo di gioco, però, viene – giustamente – messa in secondo piano dalle affermazioni che rilascia sin dalla notte dei tempi sugli omosessuali. Le ultime, in ordine cronologico, le trovate qui, e non sono neanche le peggiori.

Già il solo fatto di aver definito nel 2012 l’omosessualità “un abominio agli occhi di Dio” (che anche all’epoca scatenò veementi reazioni) dovrebbe rendere l’idea delle sciocchezze che la Court proferisce sul tema, figlie di una concezione dell’omosessualità che dovrebbe essere superata, ma che sopravvive in moltissime chiese evangeliche come quella della Court (Victory Life Centre) e non solo. Purtroppo questo pregiudizio persisterà finché si darà un’interpretazione fin troppo letterale ad alcuni passi biblici (un tipo di interpretazione che, in materia di testi sacri, va evitata il più possibile).

Non è però questa la sede per entrare in una discussione così impegnativa che andrebbe condotta a colpi di versetti dei Testi Sacri. E non è neanche mia intenzione impegnare le prossime righe in una demonizzazione della Court, che purtroppo per lei è figlia di un’epoca e di alcuni ideali, acriticamente subiti, che stiamo faticosamente superando. Inoltre non bisogna neanche dimenticare quanto di buono ha fatto: non si parla di titoli Slam, ma del contributo che ha date per cause più nobili come quella della parità dei sessi (fortunatamente, almeno in questo caso, la Court non prende alla lettera alcuni passaggi della Bibbia poco lusinghieri verso il gentil sesso!). Interessa piuttosto analizzare le reazioni alle sue parole.

La Court si è ritrovata contro gran parte del circuito maschile e femminile di tennis, ma la risposta che ha maggiormente alimentato il dibattito intorno a lei è quella dell’ex giocatrice – apertamente omosessuale – Martina Navratilova. Con una originale personificazione, la campionessa ceca ha scritto una lettera rivolgendosi al campo che dal 2003 porta il nome di Margaret Court (il terzo più importante degli Australian Open), in cui gli dice che forse era giunto il momento di cambiare il proprio nome. La provocazione, già lanciata dopo le parole del 2012, ha spaccato l’opinione pubblica: da un lato chi sostiene questa proposta, dall’altro chi ritiene che non sia la cosa giusta da fare.

Il problema in realtà sorge ancora prima. Attualmente, per motivi eminentemente commerciali, c’è una corsa ad associare il nome di grandi campioni a quello di impianti sportivi. Per dirne due: Rafael Nadal, nonostante sia ancora in attività, quest’anno ha già potuto giocare nello stadio di Barcellona a lui intitolato mentre già nel 2009 fu annunciato che il centrale del torneo di Basilea, dopo la ristrutturazione, avrebbe portato il nome di Roger Federer (più tardi anche un paio di vie avrebbero portato il suo nome). Per quanto il valore – non solo tecnico – dei due giocatori appaia indiscutibile, solo il tempo potrà confermare senza sorta di smentita l’opinione che abbiamo su di loro. Mi viene da ridere immaginando cosa sarebbe accaduto se dieci anni fa, con questa stessa fretta, avessero intitolato un impianto sportivo a Tiger Woods, che di lì a poco sarebbe caduto in una serie di poco nobili disgrazie personali.

Personalmente chi scrive ritiene che un riconoscimento così prestigioso non dovrebbe prescindere da una serie di valutazioni tout court, principio che peraltro vale per qualunque tipo di intitolazione, ragion per cui non vedo il motivo per il quale il tennis dovrebbe fare eccezione. In questo senso esemplari sono gli US Open: i primi due campi di Flushing Meadows, infatti, non sono dedicati ai tennisti più forti e vincenti della ricca storia tennistica americana, ma ad Arthur Ashe, per il suo impegno nella lotta al razzismo e all’AIDS più che per i suoi tre Slam, e al musicista Louis Armstrong (cresciuto nella zona vicino all’impianto), che tutto ha avuto in vita fuorché meriti tennistici. Alla fine della fiera qualunque risultato sportivo viene oscurato da quanto fatto fuori dal campo di gioco, inutile negarlo.

Ciò detto e ribadendo l’esecrabilità delle parole della campionessa australiana, cambiare il nome alla Margaret Court Arena non sembra la soluzione migliore: aggiungerebbe ulteriore livore al dibattito e servirebbe solo ad alimentare le urla di chi invoca un dominio mondiale della fantomatica lobby gay.

La risposta più convincente, in questo senso, l’ha data uno straordinario John McEnroe. L’ex tennista americano, oltre a ribadire la scarsa importanza delle questioni sollevate dalla Court, lancia la sua proposta: “Lasciate il nome al campo e quando in Australia il matrimonio fra persone dello stesso sesso sarà legale io e il mio amico Elton John ci sposeremo nella Margaret Court Arena!

La provocazione di McEnroe sembra centrare il tipo di risposta da dare a certe affermazioni omofobe, molto più delle minacce già avanzate di boicottare le partite nel campo in questione, gesto che avrebbe come unica conseguenza quella di arrecare danno agli spettatori paganti. Sta agli omosessuali e a chi sostiene i loro diritti trovare una forma di dissenso più intelligente: riempire lo stadio di nastri, magliette e cartelloni raffiguranti l’arcobaleno, simbolo della comunità LGBT, è la prima proposta banale che viene in mente. Anche perché a quel punto, probabilmente, sarebbe la Court stessa a chiedere che l’impianto cambi il proprio nome.

Consigli di lettura

Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche quello dedicato a Osaka e la depressione nel mondo dello sport.

Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
Potete contattarmi scrivendo una mail: l.picardi@inchiostrovirtuale.it