Umbrella Academy

La seconda stagione di The Umbrella Academy riprende sulla falsariga di quanto fatto dalla prima, fra improbabili supereroi e viaggi nel tempo

Il filone supereroistico, è cosa nota, sta attraversando un momento di incredibile successo e splendore. Se inizialmente il riscontro del pubblico si aveva soprattutto nel settore cinematografico, lentamente il genere ha preso campo anche in ambito televisivo. Dopo serie che prendevano ed elaboravano la figura dell’eroe in maniera più tradizionale (come Arrow e Marvel’s Daredevil), negli ultimi anni sono emersi prodotti che rielaborano e mettono sotto una luce diversa e più originale il genere in questione. Le serie di spicco in questo senso (tutte tratte, in maniera diversa, da fumetti) sono al momento Watchmen, The Boys e The Umbrella Academy. In futuro ci sarà modo di parlare delle prime due, ma oggi ci concentriamo sul terzo titolo, la cui seconda stagione è uscita appena quattro giorni fa su Netflix.

Le premesse narrative

Avvicinarsi a The Umbrella Academy deve essere fatto con la consapevolezza che i canoni supereroistici sono totalmente stravolti. Non ci sono costumi, mantelli, identità segrete e nomi d’arte, ma persone molto problematiche che hanno dei poteri e cercano di usarli (o non usarli) nel modo che reputano migliore.

I sette protagonisti sono stati adottati in tenera età dal misterioso Sir Reginald Hargreeves, lui sì per mettere su una squadra di supereroi tradizionale (l’Umbrella Academy, appunto), con tanto di mascherine, addestramento ad hoc e numeri al posto di nomi. Ben presto, però, i ragazzini abbandonano la vita da paladini della giustizia, intraprendendo ognuno una strada totalmente diversa.

La reunion di famiglia avviene diversi anni dopo, quando Reginald muore in circostanze non troppo chiare, evento che coincide con la ricomparsa di Numero 5, membro dell’Umbrella Academy scomparso anni prima, capace di teletrasportarsi e di viaggiare nel tempo (male, visto che facendolo torna ragazzino) e che, visitando il futuro, ha visto che l’Apocalisse è imminente, anche se non è chiaro cosa la causerà.

Da queste premesse partiva la prima stagione, che si chiudeva con i membri dell’Umbrella Academy costretti a tornare ulteriormente indietro nel tempo per sfuggire all’Apocalisse.

La trama

La seconda stagione inizia con i sette fratelli catapultati negli Anni Sessanta, ognuno in un momento diverso del triennio 1961-63 e che dovranno ricongiugersi per impedire l’Apocalisse, che a causa del loro viaggio nel tempo si verificherà molto prima del previsto, mentre la Commissione (un’agenzia che si occupa di preservare il regolare scorrere del tempo e per la quale Numero Cinque ha lavorato) cercherà di fermarli.

Nonostante la diversa ambientazione, i temi e i toni di The Umbrella Academy sono quelli della prima stagione. I sette protagonisti, infatti, sono personaggi che, più che intraprendere il classico percorso dell’eroe, iniziano un cammino di accettazione di loro stessi. I fratelli hanno delle vere e proprie turbe mentali che li rendono ­– chi più chi meno – sociopatici e tendenzialmente instabili.

C’è chi ricerca l’approvazione di un padre che nel frattempo è morto, c’è chi vuole sentirsi più importante di quanto non sia e chi vorrebbe esserlo di meno. Eppure la maturazione che vediamo nel corso della stagione non è quella che si può vedere nella maggior parte dei film Marvel o DC. I membri della Umbrella Academy hanno dei poteri, proteggono il mondo dalle minacce ma si fatica ad etichettarli come eroi. Sono persone terribilmente umane che si trovano a dover salvare la Terra un po’ per caso e un po’ controvoglia, anteponendo talvolta degli interessi personali a quelli collettivi e dovendo crescere non solo come individui ma anche come famiglia.

Queste tematiche, sicuramente con una loro profondità, sono però ricoperte da una patina di ironia e frenesia che rende la fruizione della serie estremamente piacevole. Tutto ciò che abbiamo detto traspare in maniera piuttosto evidente e non mancano momenti intensi, eppure l’anima di The Umbrella Academy è irriverente, colorata e pop.

Irriverente perché, come detto, i canoni supereroistici sono totalmente ribaltati e spesso si tende a ridicolizzare situazioni che magari altrove sarebbero state sottolineate con maggiore epicità: lo splatter di alcune scene, gli effetti collaterali di determinati comportamenti e alcuni combattimenti sono presi meno sul serio di quanto ci si possa attendere.

Questo funziona benissimo perché – come detto – la serie è colorata, ha una fotografia e un uso delle luci eccezionali e sa quando indugiare su un primo piano e quando avventurarsi in brevi piani sequenza. Ma funziona anche perché è pop, come la sua meravigliosa colonna sonora, contraddistinta da molti brani non originali che buona parte del pubblico riconoscerà e che è uno degli elementi che contribuisce maggiormente a delineare il carattere della serie, e come le tante citazioni ad altre opere in cui ci si imbatte.

The Umbrella Academy e Dark a confronto

Recentemente abbiamo parlato di Dark e del suo utilizzo dei viaggi nel tempo, che caratterizzano anche The Umbrella Academy. Qui il loro impiego è diversissimo (posto che, ovviamente, i due prodotti sono concettualmente distanti anni luce). Nella serie tedesca c’è un’incredibile meticolosità nell’affrontare le conseguenze di ogni viaggio nel tempo e ogni paradosso, con una ricostruzione maniacale della continuity.

In The Umbrella Academy, invece, questo espediente narrativo viene utilizzato in maniera più elementare e più semplice da recepire, in stile Ritorno al Futuro e 22.11.63 (serie con cui condivide la tematica dell’uccisione di Kennedy). Non che ci siano buchi nella storia (salvo forse una piccola imprecisione) o che manchi qualche colpo di scena, ma l’obiettivo non è quello di far scervellare lo spettatore, quanto piuttosto, da un lato, quello di rendere comprensibili tutti gli spostamenti temporali e, dall’altro, quello di prendere in giro i paradossi temporali e sfruttarli anche per momenti comici.

La caratterizzazione forte (quasi caricaturale in alcuni casi) dei personaggi è stata resa possibile da un cast veramente molto ispirato ed affiatato. Senza citare tutti quanti, i due attori che spiccano sono sicuramente il giovane Aidan Gallagher (Numero Cinque) e Robert Sheehan (Klaus), entrambi capaci di alternare momenti comici con momenti intensi, risultando credibili in entrambi i casi.

Riflessioni finali

The Umbrella Academy è un prodotto con una sua forte personalità. Sebbene i presupposti sembrino quelli di una classica serie sui supereroi, il genere viene declinato in maniera totalmente diversa. Lo faceva già nella prima stagione e lo fa in maniera ancora più marcata in questa seconda stagione. I temi principali della serie vengono proposti sotto una patina pop e comica che però non svilisce i momenti più intensi della serie. Non è detto che chi apprezzi il genere supereroistico apprezzi del tutto The Umbrella Academy, ma è molto probabile che chi è stufo di mantelli, maschere ed identità segrete possa apprezzare questa seconda stagione, il cui seguito è già oggi praticamente certo.

Consigli di lettura

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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