morte

Viaggio tra le opere raffiguranti la Signora in nero

“La morte non è l’opposto della vita, ma parte di essa”. È con questa frase di Hakuri Murakami che voglio iniziare questo articolo, perché in fondo è una grande verità. La morte fa parte della vita, benché spesso ci spaventi, e ogni anno commemoriamo le persone che non ci sono più nel giorno dei morti, che ha origini antiche legate a quella che sembra una leggenda.

La leggenda dell’isola dei morti, Arnold Böcklin

Secondo la leggenda vi era un’isola in cui risiedevano le anime di coloro che, avendo peccato in vita, erano bloccati in Purgatorio in cerca di redenzione. Il tema di questa leggenda è stato ripreso da Arnold Böcklin, che, nel 1880, dipinse la prima versione de L’isola dei morti. Dico prima versione in quanto, negli anni a seguire, ne dipinse altre quattro.

L'isola dei morti, Arnold Böcklin , 1880
L’isola dei morti (Arnold Böcklin, 1880).

Dias de los muertos

In Messico, il giorno dei morti o dias de los muertos non è solo di commemorazione, ma paradossalmente è visto come il giorno più allegro dell’anno, in cui si canta e balla mascherati, si mangia e si portano doni ai defunti. Il confine tra la vita e la morte diventa incredibilmente labile e i morti tornano sulla terra per passare un giorno coi loro cari.

Teschi colorati Messico, dias de los muertos
Teschi decorati per il giorno dei morti in Messico.

Il trionfo della morte, autore ignoto

Se pensiamo alla morte e cerchiamo di renderla “fisica”, la immaginiamo come una figura nera, incappucciata e con una falce in mano. Nell’arte viene spesso rappresentata in tale modo, eppure raramente ha una vera e propria accezione negativa, in quanto rappresenta l’ineluttabilità del fato contro il quale nulla si può.

Ne Il trionfo della morte, conservato a Palazzo Abatellis a Palermo, il tema è proprio questo: la Nera mietitrice arriva e colpisce tutti senza criterio, perché non ve n’è uno. Appare scheletrica, in groppa a un cavallo (scheletrico pure lui) e armata di frecce, che scaglia colpendo i presenti. I personaggi sono di differenti estrazioni sociali, poco importa se sono ricchi e facoltosi o poveri senza arte né parte: la morte non fa distinzioni.

Nessuno viene risparmiato e, mentre alcuni periscono sotto le frecce mortali, altri continuano a vivere, perché probabilmente non è ancora giunto il loro momento.

Il trionfo della morte
Il trionfo della morte (autore e data ignoti).

La morte e il taglialegna, Jean François Millet

La morte e il taglialegna è un’opera di Jean François Millet. La Nera mietitrice viene rappresentata come uno scheletro di bianco vestito che ha con sé l’immancabile falce e una clessidra, che rappresenta lo scadere del tempo dei vivi sulla terra. Un braccio scheletrico è proteso verso la figura del taglialegna che è rannicchiato su se stesso, conscio che nulla può contro la morte.

La paura trapela dalla figura del taglialegna, tuttavia la morte non appare crudele e spietata, anzi sembra confortare l’uomo, sebbene la presa sia salda e irremovibile.

La morte e il taglialegna
La morte e il taglialegna (Jean-Françcois Millet, 1859).

Morte sul cavallo bianco, Gustave Doré

Gustave Doré rappresenta il Tristo mietitore in sella a un maestoso cavallo bianco. Il quadro si ispira all’Apocalisse di Giovanni. Incappucciata, con la falce in mano, la Nera mietitrice si staglia nei cieli imperiosa, potente e invincibile; guarda un punto preciso, quasi avesse individuato la sua vittima, e dietro di lei un’orda di demoni.

Rispetto a quanto visto finora, forse la morte secondo Doré è la più minacciosa, ma in fondo parliamo sempre della nera mietitrice, quindi…

La morte sul cavallo bianco, Gustave Doré
Morte sul cavallo bianco (Gustave Doré).

Il bacio della morte

Se i quadri sopraelencati vi sono sembrati un po’ inquietanti, aspettate di vedere le sculture della Signora in nero! Iniziamo da Il Bacio della morte, ubicata nel cimitero di Poblenou, a Barcellona. La morte viene rappresentata come uno scheletro alato, immortalato nell’atto di baciare un giovane nel fiore degli anni, che vi si abbandona senza remore; l’espressione sul volto di lui è serena e ciò rende l’opera struggente e ammaliante allo stesso tempo.

Il Bacio della morte
Il bacio della morte (Cimitero di Poblenou, Barcellona).

L’angelo della morte

L’angelo della morte è una figura che si sostituisce alla morte stessa. Non viene raffigurato incappucciato e armato di falce, ma come un vero e proprio angelo, e lo si trova nelle tre principali religioni monoteiste. Nel cristianesimo è rappresentato dall’arcangelo Michele, che, armato di spada, combatte i demoni e conduce le anime dei mortali verso la luce.

morte La caduta degli angeli ribelli, Luca Giordano 1666
La caduta degli angeli ribelli (Luca Giordano, 1666).

Invece nell’ebraismo l’angelo della morte ha molti nomi, ma spesso lo si identifica in Gabriele; mentre nell’islamismo viene identificato in Azrael, il cui compito è quello di trasportare le anime verso la luce e di depennare, dal grande libro della vita, i nomi dei morti.

L'angelo della morte, Evelyn De Morgan 1881
L’angelo della morte (Morgan, 1881).

Piccola curiosità

Nel mondo del cinema l’arcangelo Gabriele viene spesso rappresentato come ostile al genere umano: nel film “Legion”, ad esempio. o ancora nel film “Constantine”, dove Gabriele è interpretato da una magistrale Tilda Swinton. Se non l’avete ancora visto, qui trovate il trailer.

Tenax Vitae, Rinaldo Carnielo

Terminiamo questo viaggio con l’opera a mio avviso più suggestiva. Si tratta di Tenax Vitae di Rinaldo Carnielo. La statua si trova a Firenze, nei musei civici, ma è una copia (l’originale è andata distrutta durante la seconda guerra mondiale). Con Carnielo siamo ben lontani dallo struggente bacio della morte, che qui è crudele, spietata, strisciante come un serpente.

L’espressione dell’uomo è attonita, terrorizzata. Prova a scappare ma non riesce, non può; la sua ora è giunta e la morte, uno scheletro sinuoso, ghigna vittoriosa e non gli lascia scampo.

morte Tenax Vitae di Rinaldo Carnielo
Tenax Vitae (Rinaldo Carnielo).
Consigli di lettura

Questo viaggio tra vita, morte e arte, si conclude qui. Spero di non avervi spaventato… Non troppo, almeno. Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche quello su Arnold Böcklin e le cinque versioni dell’Isola dei morti. Alla prossima!

Scritto da:

Serena Aiello

Ex studentessa ormai (e finalmente) laureata, lettrice vorace e scrittrice per diletto. Raramente mi interesso ad un solo argomento, mi piace scoprire nuove cose e mi piace confrontare le mie idee con quelle degli altri, cosa che spero accadrà con i miei articoli.