La fattoria degli animali - romanzo satirico allegorico di George Orwell

Un romanzo satirico allegorico che illustra la nascita dei totalitarismi

“Il potere logora chi non ce l’ha”, diceva un noto politico ormai scomparso. Ma cosa succede quando il potere logora se stesso? È quello che è accaduto in passato e accade, ancora oggi, quando ci troviamo di fronte ai totalitarismi, a regimi fondati sulla paura e sulla repressione del dissenso, sulla distruzione dei diritti fondamentali e sulla cancellazione della libertà individuale, in tutte le sue forme.
Un potere che, spesso, non nasce con connotazioni negative, ma che degenera in forme dispotiche le cui conseguenze, purtroppo, balzano drammaticamente agli occhi di tutti: pensiamo al nazismo e agli orrori dei campi di sterminio o alla rivoluzione russa, trasformatasi poi nel totalitarismo sovietico.
La letteratura, come accade di frequente, può aiutarci nell’analisi dei fenomeni, nel capirne la genesi, a volte anche con uno sguardo satirico, ma non per questo meno efficace. E quando penso al potere che degenera, non posso non ricordare un romanzo che rappresenta un vero e proprio classico, riuscendo a mescolare sapientemente semplicità, ma anche grande verità: La fattoria degli animali di George Orwell.

Una lettura indispensabile per comprendere le origini e gli sviluppi di qualunque regime totalitario, che ci fa sorridere, ma anche riflettere su un tema così delicato, aprendo nuovi orizzonti e prospettive. La fattoria degli animali, infatti, può essere definito, a pieno titolo, un romanzo satirico, come l’allegoria della rivoluzione russa, in particolare, e di come è degenerata nel totalitarismo sovietico. Tuttavia, proprio in virtù del suo linguaggio universale, assume una valenza rappresentativa di qualsiasi forma di regime totalitario.

La trama e i personaggi

Il romanzo racconta la storia degli animali della fattoria Manor, che, vittime dei soprusi del loro padrone, si ribellano al potere umano, conquistando la proprietà della fattoria. Non nutrono particolare considerazione per la figura umana gli abitanti della fattoria; infatti, per loro:

“L’uomo è l’unica creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il re di tutti gli animali”.

Per ribellarsi ad un destino di “miseria e schiavitù” gli animali intraprendono una vera e propria rivoluzione. A guidarla è un maiale, Vecchio Maggiore, il più anziano, che raduna tutti gli animali della fattoria e li incita alla rivolta, unico strumento per conquistare la libertà, bene prezioso che è stato loro sottratto dall’essere umano.

Gli animali cominciano a realizzare una nuova società, fondata sulla democratica suddivisione dei compiti, raccolgono i risultati del duro lavoro dei campi, creano delle leggi che si fondano sul principio di uguaglianza. L’insegnamento fondamentale alla base della nuova fattoria è quello di distinguersi dall’uomo, di non imitare i comportamenti disdicevoli dell’essere umano.

Tuttavia, quella che sembrava una società perfetta, fondata su un equilibrio apparentemente indiscutibile, inizia un lento ed inesorabile processo di degenerazione. I maiali, più egoisti e furbi rispetto agli altri animali, si appropriano del potere in modo dispotico, diventando dei veri e propri tiranni. L’oppressione si ripresenta ancora una volta, odiosa e temibile come lo è sempre: unica differenza è rappresentata dal fatto che a sottomettere gli animali, stavolta, sono altri animali.

L’analogia tra animali e uomini

Ed è così che gli insegnamenti del Vecchio Maggiore (alias principi marxisti) e l’animalismo (da leggersi comunismo) non riescono a rappresentare un deterrente efficace al potere di pochi, un potere che finisce per logorare se stesso. È inevitabile leggere, in tali eventi, una metafora perfetta del totalitarismo sovietico di epoca staliniana, in cui i fautori della rivoluzione hanno successivamente assunto un ruolo di comando dispotico. Orwell, catturandoci con le sue metafore, trasforma i maiali rendendoli, addirittura, antropomorfi.

E, dall’alto del loro pulpito, diffondono dei comandamenti, i quali hanno spesso la finalità di giustificare le azioni da loro poste in essere.

“Qualunque cosa cammini su due zampe è un nemico.
Qualunque cosa cammini su quattro zampe o abbia le ali è un amico.
Nessun animale deve indossare vestiti.
Nessun animale deve dormire in un letto (con le lenzuola).
Nessun animale deve bere alcol (in eccesso).
Nessun animale deve uccidere un altro animale (senza motivo).
Tutti gli animali sono uguali (ma alcuni sono più uguali degli altri).”

Ecco come l’uguaglianza si tramuta in lettera morta, nel momento in cui i maiali sono ritenuti “più uguali degli altri“. Lo scrittore, in questo breve romanzo, vuole ricordare al lettore come anche gli ideali più nobili possano essere sporcati dalla avidità di potere di pochi. Ancora una volta assistiamo al potere che si logora, a causa della sete di esseri senza scrupoli, ostacolo affinché si possa effettivamente creare una società giusta ed equa.

Chi paga il prezzo delle degenerazioni del potere?

Spesso le persone più semplici e prive di una adeguata istruzione. Di particolare importanza nell’architettura del romanzo è, infatti, la questione della propaganda: il rischio è che certi principi vengano percepiti come verità assolute e, come tali, indiscutibili, da parte di soggetti che non hanno strumenti culturali sufficienti per contrapporsi agli estremismi.

Ne La fattoria degli animali ciascun animale rappresenta un tipo di uomo. Orwell ci accompagna in uno straordinario gioco di sovrapposizioni; ogni animale rappresenta uno dei possibili tipi di uomo che si possono incontrare in una società del genere.

Esempio significativo è Grondano, il cavallo lavoratore, sottomesso al sistema. L’animale si piega al potere consapevolmente, senza riuscire ad acquisire coscienza del fatto che i maiali si arricchiscono alle sue spalle. E come dimenticare il maiale Clarinetto, abile oratore, capace di manipolare la realtà al solo scopo di sottomettere gli altri animali? O l’asino Benjamin, consapevole degli eventi che si stanno determinando, ma incapace di opporsi, preferendo piuttosto l’astensione indifferente di chi accetta passivamente ciò che il destino gli riserva?

È un romanzo a volte crudo, ma assolutamente reale e vitale. Addentrandosi nelle sue pagine, si percepisce chiaramente il messaggio che vuole lanciare l’autore: l’uomo non è altro che un animale, sottomesso a maiali che controllano le informazioni esterne. Perché spesso siamo vittime di ciò che vogliono dirci, di ciò che ci raccontano e che finiamo per credere, dimenticando così le verità scomode, preferendo a queste quelle vantaggiose per la maggioranza.

Non è certo un caso se il romanzo di cui ci stiamo occupando è stato respinto un paio di volte prima di essere pubblicato: è palese la critica verso i regimi totalitari, di qualsiasi tipologia essi siano, poiché viene svelata in modo crudo la verità insita in certi eventi storici.

La fattoria degli animali come metafora della società

La fattoria equivale ad una sorta di stato in cui sudditi, inizialmente, sono gli animali e il padrone si occupa esclusivamente dei propri interessi e dimentica di dedicarsi ai suoi cittadini.

Tale rapporto di sudditanza viene meno grazie alla dura battaglia di coloro che, in un primo momento, sono sottomessi e che, apparentemente, sembrano riappropriarsi del loro spazio nel mondo, diventando nuovamente padroni del proprio destino. Purtroppo il potere della propaganda è forte e, insieme ad esso, l’avidità di alcuni uomini, che non si accontentano di ciò che hanno, ma vogliono vedere tutti asserviti al loro dominio.

Dal libro emergono connotati tipici della società comunista russa e non solo: pensiamo all’utilizzo di una squadra di polizia corrotta al servizio dei potenti, al tentativo di manomettere le leggi, ai dati che mostrano una situazione diversa rispetto a quella percepita. L’educazione riveste un ruolo fondamentale: perché è proprio dell’ignoranza che si nutre il potere dittatoriale e, per evitare che certi fenomeni si ripetano, occorre più che mai conoscere, per non dimenticare e per prevenire l’insorgere di nuovi totalitarismi che, contrariamente a quanto si possa pensare, possono colpirci in qualsiasi momento.

Lo stile utilizzato da Orwell è chiaro e semplice, ma è una scelta assolutamente non casuale. Lo scrittore vuole creare in chi legge quasi l’impressione di trovarsi di fronte ad una favola. Inoltre è chiaro l’intento di far trasparire che si tratta di una storia che tutti gli uomini conoscono molto bene e che può ripetersi anche a distanza di secoli. Insomma, ci troviamo di fronte ad un romanzo che vale la pena di leggere almeno una volta nella vita.

Stefania Baudo

Scritto da:

Redazione IV

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