Arabia Saudita - Rahaf Mohammed al Qunun

Originaria dell’Arabia Saudita, Rahaf Mohammed al Qunun, minacciata di morte dalla famiglia per aver abbandonato la religione islamica, ha ottenuto lo status di rifugiata dell’ONU.

Che l’Arabia Saudita non fosse un Paese per donne era cosa nota, anche se la concessione di poter conseguire la patente di guida e la recentissima novità in materia di divorzio, per il quale ora si prevede un avviso tramite sms, potrebbero far pensare a piccolissimi margini di miglioramento.

La faccia oscura dell’Arabia Saudita non è, infatti, oscura ad alcuno. Anzi, negli ultimi tempi il ricco Paese arabo è finito più volte sotto i riflettori dell’Occidente.

Da ultimo, in Italia è sorta una questione mediatica per la decisione di disputare la finale di Supercoppa Italiana tra Juventus e Milan proprio in Arabia Saudita, precisamente a Gedda, a causa della disposizione dei posti all’interno dello stadio, che rispecchiano la condizione in cui versano le donne nel Paese Mediorentale.


Dell’Arabia Saudita avevamo parlato anche noi, in occasione dell’uccisione del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, per il quale, a tre mesi dalla morte, si è aperto il processo a Riad nei confronti di undici sospetti accusati di essere coinvolti nel delitto.


Più di recente la vicenda di Rahaf Mohammed al Qunu ha riportato il Paese Arabo sui giornali di tutto il mondo.

La giovane 18enne, figlia di un governatore saudita, ha abbandonato la religione islamica e per questa ragione, secondo quanto ha raccontato ai giornali, i suoi parenti hanno minacciato di ucciderla.

Per tale ragione Rafah, che si trovava in Kuwait con la famiglia, è scappata, prendendo un volo con destinazione Australia, dove aveva intenzione di richiedere asilo politico.

Durante uno scalo a Bangkok, però, secondo quanto riportato dalla BBC, un diplomatico saudita avrebbe requisito il suo passaporto.

La giovane saudita si è allora barricata dentro la stanza di un hotel situato proprio all’interno dell’aeroporto thailandese e ha chiesto aiuto ad autorità internazionali e Paesi stranieri su Twitter, per evitare di essere costretta dalla polizia dell’immigrazione a salire su un aereo per fare ritorno in Kuwait, dove ad attenderla c’era la sua famiglia che ne aveva denunciato la scomparsa.

Un caso simile avvenne nell’aprile 2017, quando un’altra donna saudita, la 24enne Dina Ali Lasloom, in transito per l’Australia, fu fermata nelle Filippine e costretta con la forza al rimpatrio. Fuggiva dall’Arabia Saudita perché non voleva più sottostare al controllo di un ‘guardiano’ maschio e alle pesanti limitazioni ai diritti delle donne. Di lei non si hanno avuto più notizie, ma secondo i media internazionali sarebbe stata rinchiusa in una struttura detentiva.

Ma Rafah, arrivata grazie ai suoi tweet all’attenzione di vari attivisti per i diritti umani e giornalisti, tra cui la femminista egiziana Mona Eltahawy, ha ottenuto di parlare con alcuni funzionari dell’UNHCR.

I funzionari per l’immigrazione thailandesi, che in un primo momento avevano detto che la ragazza sarebbe stata rimandata in Kuwait, lunedì hanno smentito di volerla rimpatriare. Alla giovane saudita è stato permesso di restare in Thailandia, come annunciato dal responsabile dell’immigrazione, Surachate Hakparn, precisando che Rahaf ora si trova sotto la supervisione dell’Unhcr.

Al New York Times Rafah ha raccontato che progettava la fuga da due anni e che suo fratello e altri parenti l’avrebbero picchiata spesso e chiusa per sei mesi in una stanza solo perché si era tagliata i capelli. «Mi uccideranno perché sono scappata e perché ho detto che sono atea. Volevano che pregassi e che indossassi il velo e io non voglio».

L’ONU ha raccomandato all’Australia, il Paese verso il quale era diretta la giovane, che venga considerata una rifugiata. Mercoledì il ministro dell’Interno australiano, Peter Dutton, ha detto che la richiesta di Qunun verrà valutata, ma ha aggiunto che al suo caso non verrà riservato alcun trattamento speciale.

Come dichiarato da Samah Hadid, direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International:

La storia di Rahaf ci affida un messaggio importante: il potere delle persone che in ogni parte del mondo si sono mobilitate per appoggiare la sua richiesta di protezione ha prevalso su coloro che cercavano di perseguitarla. In pochi giorni la vicenda di questa ragazza, che ha corso rischi incredibili fuggendo dalla sua famiglia e dall’oppressivo sistema della tutela maschile, è diventata fonte d’ispirazione per milioni di persone e ha messo in evidenza il grande coraggio e i sacrifici di chi, ovunque nel mondo, cerca salvezza fuori dal suo Paese.

Scritto da:

Virginia Taddei

Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it